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MARITO PERDE IL LAVORO E NON CORRISPONDE ALIMENTI ALLA EX: PER LA CASSAZIONE NON VA CONDANNATO

Il giudice penale prima di condannare l’ex marito che non versa l’assegno per violazione degli obblighi di assistenza familiare deve verificare che il mancato pagamento sia dovuto a una precisa volontà e non invece a un “peggioramento delle condizioni economiche”. E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 17 dicembre 2014, n. 52393

Da tale pronuncia si nota che gli effetti della crisi, la perdita di lavoro o di capacità economica cominciano a produrre conseguenze “anche” nelle pronunce dei Magistrati. Infatti la sentenza in esame ne è esempio concreto.

Infatti, la Corte di Cassazione con la richiamata sentenza viene in soccorso degli ex mariti che si trovano in difficoltà finanziarie a causa della crisi. Una sensibilità al problema di cui beneficia il ricorrente che era stato condannato dalla Corte d’appello a un mese di reclusione per non aver versato il mantenimento alla ex moglie per oltre un anno. L’uomo aveva fatto ricorso in Cassazione considerando immotivata una condanna adottata nei suo confronti senza considerare il suo stato di indigenza, dovuto alla perdita del lavoro che lo aveva messo in una condizione di disagio al punto da essere ammesso al patrocinio a carico dello Stato.

La Cassazione ha rimarcato come il giudizio di prime cure fosse fondato su una motivazione irragionevole: era apparso non credibile che per oltre un anno l’uomo non fosse stato in grado di adempiere, neppure parzialmente, al suo dovere.

La Suprema Corte sottolinea che il reato, previsto dall’articolo 570 comma 1 del Codice penale, può scattare, in caso di separazione, solo quando è accertato che l’omissione è il risultato della precisa volontà di negare che esista un obbligo di assistenza che ancora esiste. Solo in tal caso la condotta va considerata contraria all’ordine e alla morale della famiglia.

In modo più preciso, la Corte argomenta che l’inadempimento all’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge separato realizza la condotta illecita prevista dall’articolo 570 c.p., comma 1, ove questo si accompagni agli “ulteriori elementi costitutivi” della fattispecie, con ciò dovendosi intendere che, per la sussistenza di quel reato, deve potersi accertare che l’inadempimento economico si riconnette ad una volontà inadempiente direttamente correlata alla “deliberata negazione del vincolo di assistenza ancora sussistente”, che per l’effetto possa considerarsi contraria all’ordine o alla morale della famiglia.

La Corte di Cassazione ricorda poi che nessuno, neppure le coppie ancora unite dal vincolo matrimoniale, sono al riparo dai rovesci finanziari.

Dal momento che l’assegno di mantenimento ha, infatti, la funzione di assicurare lo stesso tenore della vita coniugale, sarebbe del tutto irragionevole non esaminare, ai fini dell’accertamento del reato, se il soggetto obbligato ha subìto variazioni di reddito tali da poter incidere proprio sul tenore di vita: un peggioramento di cui la coppia avrebbe risentito anche se fosse stata ancora sposata.

La perdita del posto di lavoro può certamente determinare quella condizione di disagio che, se verificata, è sufficiente a escludere l’antigiuridicità del fatto contestato.

La Cassazione rinvia a un’altra sezione della Corte d’appello invitando i giudici a fare il lavoro di approfondimento “sfuggito” in prima battuta, malgrado il ricorrente avesse fornito tutti gli elementi utili per dimostrare che realmente non si era trovato nella condizione di versare l’assegno.

Credits:http://www.dirittoeprocesso.com

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